Dieci anni fa scoppiava la “primavera araba”, come è cambiato oggi il mondo arabo?

Il 17 dicembre 2010 in Tunisia e precisamente a Sidi Bouzid Mohamed Bouazizi, un venditore ambulante, si dà fuoco per protesta davanti al municipio della città. Lo stesso giorno scoppia in tutto il paese una violenta protesta contro il regime di Ben Ali, presidente della Tunisia dal 1987. È l’inizio della “primavera araba”, una serie di sollevazioni popolari in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa, che porterà alla caduta di dittature al potere da decenni.

Il mondo arabo, comprendente i paesi di lingua araba e religione islamica del Nord Africa e del Medio Oriente

Dal 2011 ad oggi come è cambiato il mondo arabo?
Dopo la primavera araba nei paesi coinvolti si è assistito a situazioni molto diverse. In molti casi l’instabilità politica è sfociata in guerre civili o nell’affermazione di nuove dittature. Considerando gli ideali democratici con cui sono nate le proteste del 2011, si può affermare che la primavera araba sia stata un fallimento?

In Egitto, dopo il trionfo della rivoluzione, si è affermato un nuovo regime.
La primavera araba arriva in Egitto a metà gennaio 2011. Al Cairo iniziano le manifestazioni contro il regime di Hosni Mubarak, presidente dal 1981. In meno di un mese il rais egiziano è costretto a dimettersi e ad abbandonare il paese.

Nel 2012 vengono organizzate le prime elezioni democratiche nella storia egiziana, vinte da Mohammed Morsi. Ma nel 2013 il presidente viene rovesciato dall’esercito e sostituito dal generale Abdel Fattah Al Sisi.

Da quando è salito al potere, Al Sisi ha affermato la sua autorità e rafforzato il potere dell’esercito, operando una stretta sui diritti umani. Il suo regime ha attirato le critiche dell’opinione pubblica internazionale per l’omicidio di Giulio Regeni nel 2016 e il recente arresto di Patrick Zaki, avvenuto per motivi politici.

La Libia si è liberata del regime di Gheddafi, ma è sprofondata nel caos.
In Libia nel febbraio 2011 sono scoppiate le proteste contro il regime di Gheddafi, al potere da più di quarant’anni. La rivolta ben presto sfocia in una guerra civile nella quale interviene anche la NATO a sostegno dei ribelli. Gheddafi sarà catturato e ucciso il 20 ottobre 2011.

La caduta del regime non ha segnato però la fine delle violenze. Il vuoto di potere ha creato una situazione di anarchia e il territorio è attualmente diviso tra decine di gruppi armati.

È proprio dalla Libia che partono i barconi di migranti provenienti da vari paesi africani; il traffico di esseri umani infatti è un business redditizio per le milizie libiche.
La questione degli sbarchi dei migranti sul territorio italiano è stata a lungo oggetto di un acceso dibattito politico nel nostro paese.

In Yemen e in Siria la primavera araba ha portato a due sanguinosi conflitti
Nello Yemen le proteste scoppiate nel 2011 hanno causato, un anno dopo, le dimissioni del presidente Ali Abdullah Saleh, al potere da trent’anni.

La Siria, a differenza degli altri paesi, non ha visto cadere il regime di Bashar Al Assad, presidente dal 2000. Le proteste contro Assad, scoppiate nel 2011 e represse nel sangue, hanno causato nel 2012 lo scoppio di una violenta guerra civile ancora in corso.

Anche in Yemen, nel 2015, è scoppiata una guerra civile tra il governo succeduto al regime di Saleh e gli Houthi, un gruppo armato sostenuto dall’Iran.

Sia in Yemen che in Siria la guerra ha causato miliardi di dollari di danni, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. In Yemen inoltre è in corso una catastrofe umanitaria senza precedenti: epidemie, carestie, povertà e mancanza di cibo si sono abbattute sulla popolazione già prostrata dai combattimenti.

La Tunisia: un esempio di successo della primavera araba?
La Tunisia è stata il punto di partenza della primavera araba. Nel giro di pochi giorni le manifestazioni contro il corrotto presidente Ben Ali lo hanno portato a dimettersi e a fuggire in Arabia Saudita dopo vent’anni di potere assoluto.

Con la convocazione di elezioni democratiche e l’approvazione di una nuova costituzione nel 2014, la Tunisia sembra essersi avviata a un processo di stabilizzazione e democratizzazione.

Un passo importante in questo senso è stata l’istituzione della Commissione per la Verità e la Dignità. La commissione ha lo scopo di riconciliare la nazione e rendere giustizia alle vittime di abusi sotto il regime di Ben Ali.

Tuttavia la giovane democrazia tunisina ha dovuto affrontare molti problemi. La crisi economica ha causato grandi tensioni sociali e la presenza nel governo di figure del passato regime ha scatenato le proteste dell’opinione pubblica.
Vi sono poi i problemi di sicurezza nazionale. Nel 2015 si sono verificati in Tunisia due gravi attentati di matrice islamista: quello al Museo del Bardo di Tunisi e quello in un resort a Susa.

Non si possono ignorare questi problemi, ma è pur vero che la Tunisia è riuscita a mantenere un certo livello di stabilità rispetto ad altri paesi arabi.

In conclusione, che bilancio si può fare della situazione attuale 10 anni dopo la primavera araba?
Le conseguenze della primavera araba sono state differenti nei diversi paesi, quasi tutti attraversati da una profonda instabilità.

La caduta dei regimi arabi, laici e secolari, ha aperto la strada a una nuova espansione del fondamentalismo islamico. Tra il 2014 e il 2017 l’espansione dell’ISIS in Siria e Iraq è stata fonte di grande preoccupazione a causa dell’ondata di attentati in tutta Europa ispirati dall’organizzazione terroristica. Inoltre l’Islam nelle sue espressioni politiche è stato fonte di problemi in molti paesi. Si pensi agli Houthi in Yemen, pedine dell’Iran nel contesto della rivalità con l’Arabia Saudita. Vi sono poi i Fratelli Musulmani, vera e propria “spina nel fianco” della politica egiziana sin dagli anni ’60.

Tuttavia il risveglio delle coscienze portato dagli eventi del 2011 ha dato voce alla rivendicazione di un reale coinvolgimento popolare nella vita politica.
Dopo la primavera araba è mutata anche la visione da parte del mondo occidentale che può intravedere prospettive migliori nonostante l’attuale panorama negativo.
Il seme della democrazia è stato piantato, ma occorrerà un processo ancora lungo e complesso perché se ne possano vedere i frutti.

 

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