Habemus Papam – la recensione del film di Nanni Moretti

Habemus Papam di Nanni Moretti rappresenta la sua seconda incursione nel tema della religione dopo La messa è finita (1985). È proprio quest’ultimo film a venire alla mente durante la visione per via di una certa vicinanza di contenuti. Il tema principale di entrambe le opere sono infatti le incertezze di un uomo di chiesa che inizia a sentire il peso delle proprie responsabilità.


Ma Habemus Papam di Nanni Moretti compie un passo in avanti: se ne La messa è finita il protagonista era un prete e di conseguenza l’ambiente in cui si svolgeva la vicenda era cittadino e la caratura del problema piuttosto ristretta, in quest’opera la gravosità della questione è di gran lunga superiore.
Cosa succederebbe se il nuovo papa nel momento della sua elezione venisse assalito dai dubbi e dalle esitazioni tanto da non riuscire a compiere la sua prima benedizione? Moretti compie una lucida analisi della situazione che si trova a vivere la Chiesa nel ventunesimo secolo, rimasta oramai forse l’unica vera potenza mondiale, perlomeno la più compatta.
Il regista critica il sistema della chiesa e non si risparmia neanche giudizi ironici ma consapevoli verso le credenze cristiane, riservando sempre tuttavia un trattamento estremamente rispettoso verso la figura del pontefice, di cui indaga la persona prima che l’autorità. Prima di tutto, Habemus Papam è infatti un ritratto fortemente umano e il papa, interpretato da uno splendido Michael Piccioli, è una persona molto sensibile, un uomo che conosce a memoria le battute de Il gabbiano di Cechov, che riesce a darsi una risposta solamente camminando per le strade di Roma, città mai poeticizzata, come poteva essere la Roma vuota di gente di Caro diario (1993), ma sempre reale e affollata, contrapposta alla vita opprimente tra le mura del Vaticano.
Le simpatiche scene in cui Moretti stesso, che interpreta lo psicologo affidato al papa, dialoga con i cardinali e li convince a formare delle squadre per un torneo di pallavolo potrebbero sembrare inutili ai fini della narrazione ma sono la perfetta rappresentazione della volontà di uscire dalla realtà spesso soffocante della vita ecclesiastica.
E’ inoltre incredibile la capacità di creare immagini evocative e simboliche senza mai sembrare pretenzioso o fuori luogo, una su tutte da sottolineare è quella del balcone vuoto di Piazza San Pietro con le tende rosse che sventolano svelando il profondo buio dietro di loro, a conferma del fatto che Moretti è un regista che si è saputo rivoluzionare senza rimanere (troppo) legato al suo cinema passato, soprattutto perché di cose da raccontare ancora ne ha.

 

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