Il linguaggio della generazione Z 

Tutti i giorni nuove e incomprensibili parole nascono e si diffondono. Guardando la tv o navigando sui social ci si rende conto che in poco tempo esse si propagano e invadono “la comunicazione” di noi adolescenti. A volte sembrano incomprensibili, a volte sono più aderenti alla realtà e di facile interpretazione, ma i nostri genitori… ci capiscono? 

La lingua degli adolescenti come viene capita dai baby boomers e dalla generazione X? 

Così come per altri tratti che ci caratterizzano, anche la lingua di noi adolescenti può risultare misteriosa per gli adulti. Mi capita spesso infatti, parlando con i miei genitori, di essere interrotto e che mi si chieda il significato di qualche parola appena pronunciata… e vi assicuro pronunciata senza rendermene conto, perché per me entrata ormai nel linguaggio quotidiano e usata quindi continuamente con i miei amici. Così, riflettendo sulla possibilità di trovare un modo di arginare i problemi di comunicazione con i miei genitori, che purtroppo sono sempre molti, mi sono reso conto che questo nasce non solo da una distanza generazionale pazzesca, ma anche da una diversità di linguaggio che non rende le cose più facili!  Perché il linguaggio di noi adolescenti è strapieno di riferimenti ai meme più in voga, a serie tv o videogiochi che vanno per la maggiore. Densa di anglismi e prestiti da varie lingue o da ambiti specifici che riflettono in parte una iper-digitalizzazione, ricolmo di parole che difficilmente loro userebbe.  

E credo che il linguaggio che noi usiamo non sia solo un gergo con cui ci riconosciamo e ci differenziamo, ma un modo nuovo, dinamico e in continuo cambiamento per distinguerci e apparire diversi dai nostri genitori, per la maggior parte appartenenti ai baby boomers (1946-1964) o alla generazione X (1965-1980).  

Il perché dello slang! 

La dottoressa Beatrice Cristalli, linguista e autrice del libro “Parla bene pensa bene. Piccolo dizionario delle identità”, afferma che il gergo giovanile e le nuove parole hanno una “funzione” specifica, in particolar modo costituiscono l’oggetto attraverso cui sentirsi parte integrante di uno specifico gruppo distaccandosi così dalla tribù “dei grandi”. La Cristalli afferma infatti che “i linguaggi giovanili (che sono tanti, non uno solo) sono una varietà dell’italiano. Somo quindi un sottogruppo con precise caratteristiche sociolinguistiche che riguarda soprattutto − ma non esclusivamente − la fascia anagrafica giovanile. In altre parole, fanno parte del sistema lingua, esattamente come i linguaggi specialistici, l’italiano aulico o quello burocratico.

Lo slang, dunque, abita da sempre il nostro sistema di comunicazione, anche e soprattutto perché ha una funzione ben precisa. Mi riferisco alla formazione dell’identità di una comunità, cioè quella degli adolescenti. Si tratta di una sorta di codice capace di garantire una comunicazione tra i membri, che proprio nel codice si riconoscono come parte di qualcosa più grande di loro. L’atteggiamento linguistico diventa così specchio di un atteggiamento sociale, fondamentale per separare adulti e nuove generazioni

Ogni generazione ha il suo slang ma non solo… 

Il linguaggio giovanile non è uguale in tutte le regioni e tantomeno in tutte le aree urbane, ma cambia a seconda delle origini culturali locali. Un esempio ne è la parola “Maranza”, venuta alla ribalta per gli ultimi fatti accaduti a Milano dove gang straniere rivali si sono affrontate. I giornalisti lo hanno tradotto come una fusione fra le parole “Marocchino” e “Zanza”, dandogli il significato di imbroglione, truffatore, furfante originario del Marocco. Non credo sia proprio una bella cosa… e poi parlano di “discriminazione” sociale e razziale? In questi gruppi infatti non ci sono solo adolescenti e giovani di origine nordafricana, ma un melting pot (calderone) di nazionalità, del quale fanno parte anche italiani e slavi che vivono generalmente ai margini della società.

Come dicono i miei genitori questo vocabolo si usava già ai loro tempi quando vivevano a Milano per lavoro, e stava ad indicare quella categoria di persone dai modi rozzi e volgari, che si comportavano ostentando i propri averi senza umiltà, vestendosi anche con oggetti “griffati” falsi o meglio ancora “taroccati”. A Roma li chiamavano invece “tamarri”, “coatti” e serviva per distinguere i “pariolini” da chi viveva in borgata o fuori città. Oggi sembra che abbiano rispolverato questo termine, diffondendolo a livello nazionale, e forse proprio grazie ai social network è diventato un nuovo modo per differenziare italiani e stranieri, aumentando il divario tra razze piuttosto che rivalutare i comportamenti delle persone. 

Nuove parole 

Vediamo ora alcune delle parole che spesso usiamo e che spaventano o incuriosiscono i “nostri” Boomers:  

– “scialla”, che significa “stai sereno” 

– “followare”, significa “seguire qualcuno via social con un’attitudine da fan”;  

– “flexare”, che spesso sta per “vantarsi di”;  

– “droppare”, che si usa quando non si porta a termine qualcosa che viene iniziato; 

– “blastare” che significa “mettere a tacere qualcuno su internet”; 

– “friendzonare”, ossia “limitare una relazione al semplice rapporto di amicizia”; 

– “amio”, che è la pronuncia in “corsivo” – altra invenzione dei giovani – della parola “amore” e si usa come intercalare o vezzeggiativo per indicare una persona cara; 

– “ghostare”, cioè “sparire o ignorare deliberatamente qualcuno con cui si era in contatto”; 

– “flammare”, cioè “litigare”; 

– “lovvare”, cioè “amare”. 

Di fatto gran parte di questi termini credo siano già obsoleti, infatti queste parole risalgono al periodo pandemico, quindi 2020, e siccome sono stati già riconosciuti dal mondo degli adulti hanno probabilmente esaurito la loro carica nella tribù generazionale, anche se solo ora si interrogano sui significati. Ora capite come il tempo sia un fattore determinante per il dialogo intergenerazionale di oggi!!!  

A volte i termini anche se sono obsoleti mutano di significato. Mi soffermerei su due termini che secondo me raccontano bene la Generazione Z: Cringe e Crush. 

Definizione di “Cringe: 

In un post Facebook per spiegare il concetto di questo termine si fa riferimento al dizionario Treccani e al concetto di “vergogna vicaria” del filosofo Tonino Griffero. Secondo il filosofo, siamo “cringiati” quando proviamo vergogna per chi non la prova affatto, un po’ come la locuzione “mi vergogno per qualcuno”. Ma c’è di più! Avete presente quando l’imbarazzo è così insostenibile da voler fuggire o, meglio ancora, da desiderare il mantello invisibile di Harry Potter? Cringe, per l’Oxford Dictionary, sembra derivare da “cringan”, un verbo dell’inglese antico che significava “arrendersi“, “piegarsi” e “rannicchiarsi. Insomma, con Cringe ci si riferisce a una situazione difficile da gestire; letteralmente, oggi significa “indietreggiare per il disgusto”, e ancora “strisciare”.

Definizione di “Crush”: 

Riguarda un’espressione con cui le nuove generazioni indicano il proprio innamoramento: può essere una persona o un oggetto per cui si prova affetto e verso cui spesso scatta l’idealizzazione. Se da un lato possiamo ricondurre crush, negli esempi di “crush mi ha invitato a uscire” (persona reale), oppure “ho una crush per il mio vicino di casa” (sentimento di attrazione), alla semantica positiva dell’essere innamorati, dall’altro, se ci atteniamo alla traduzione letterale del verbo inglese to crush (schiacciare, frantumare), emerge l’altra faccia della medaglia, ossia un amore intenso, a volte non corrisposto, o ancora un’azione da parte dell’amato/a che delude, che come un macigno si scaglia su di noi e ci distrugge. Nota linguistica da non sottovalutare: crush è usato molto spesso come termine neutro, senza l’articolo che marca il genere, forse volto a sottolineare un’ottica più inclusiva di genere, di orientamento e anche di espressione di genere.

Generazione X contro generazione Z? No, è solo rispetto! 

Per concludere vorrei esprimere la mia opinione al riguardo… penso che sia assolutamente normale che tra adulti e giovani, soprattutto tra genitori e figli, ci siano “differenze”, divergenze e incomprensioni. Credo che in parte sia anche giusto, la vedo…lasciatemeli dire… come una sorta di rispetto degli uni verso gli altri. Si tratta di avere la libertà di esprimere se stessi, rispettare le idee e la mentalità dell’altro, si tratta di non voler condividere a tutti i costi il “proprio mondo”, si tratta di lasciare ad ognuno la libertà di pensare, parlare ed agire secondo la propria coscienza con l’idea che l’altro ha comunque dei presupposti validi e giusti per fare o dire ciò che fa e dice.  Vanno rispettate le idee e va rispettata l’individualità di ciascuno perché le differenze ci rendono ciò che siamo. Così un adolescente deve essere “adolescente” in tutto ciò che fa e un adulto che cerca di emulare il gergo giovanile mi sembra solo buffo e, se vogliamo, anche un po’ ridicolo! Pensare che mio padre o mia madre possano usare il mio linguaggio mi fa sorridere e mi fa pensare che vogliano ostentare un giovanilismo che, per alcuni versi, è fuori luogo.  

Per noi ragazzi le parole che usiamo hanno dunque un valore, costituiscono la nostra “Identità” e questa distanza comunicativa deve essere rispettata perché altro non è che un modo per aiutarci a trovare una posizione in società, una “identità” distinta e singolare che poi si evolverà nel rispetto di un linguaggio da adulto, lasciando ai nuovi giovani la possibilità di inventare i loro termini che poi inevitabilmente muteranno o si dissolveranno nel vento da cui sono venuti.  

 

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