La giornata mondiale della natura selvatica
Anche chiamata W.W.D.(World Wildlife Day), questa speciale ricorrenza è stata istituita nel 2013 dalle Nazioni Unite. È celebrata in tutto il mondo il giorno 3 marzo, data in cui venne firmato il trattato “Cites”. Questo trattato regola la vendita di flora e fauna e, di conseguenza, la caccia, che in precedenza era libera.
Ogni anno si affronta un tema differente. Quest’anno il W.W.D. ha riguardato “il recupero di specie chiave per il ripristino dell’ecosistema”. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia di alcune specie di fauna e flora, che sono fondamentali per l’equilibrio dei loro ecosistemi.
Le attività del W.W.D. sono promosse attraverso il sito: https://www.wildlifeday.org/
In Italia, purtroppo, non vi sono eventi di rilevanza nazionale legati a questa giornata, che resta una ricorrenza poco conosciuta e mal pubblicizzata.
A livello internazionale c’è stata una tavola rotonda per fare il punto della situazione. Si è tenuta inoltre una premiazione del World Wildlife Day Film Showcase, un concorso di brevi filmati di denuncia sul tema della giornata. Ma perché questa giornata è così importante?
Ecosistemi: un equilibrio fragile
Un ecosistema è formato dalla componente abiotica (ossia “non-viva”, come ad esempio il suolo), dalla Flora e dalla Fauna. In esso tutti gli esseri viventi collaborano fra loro, anche inconsapevolmente, per far progredire la vita.
Molti ecosistemi hanno degli equilibri fragili: anche solo il togliere un elemento o l’aggiungerne uno estraneo rischiano di alterarli profondamente, causando gravissimi danni ambientali.
Basta guardarsi intorno per vedere specie aliene (ossia provenienti da altri luoghi) che si sono insediate negli ecosistemi italiani. Molte di esse stanno prendendo il sopravvento a spese delle specie indigene. Ne sono un esempio i pappagalli che ormai abitano, riuniti in numerose comunità, alberi e parchi romani; le tartarughe americane che prevalgono su quelle italiane, di indole meno aggressiva; alcune specie di scoiattolo che si stanno rapidamente diffondendo nei nostri parchi e nei boschi, a discapito degli scoiattoli locali; oppure le molte specie di coleotteri xilofagi che distruggono alberi secolari.
Quando l’equilibrio si rompe, non basta cacciare la specie estranea. Occorre anche assicurarsi che il vuoto creatosi venga riempito dalle specie autoctone. Il rischio, però, è che queste non esistano più in numero sufficiente a ripristinare l’equilibrio.
Da qui l’importanza del recupero di specie chiave per il ripristino dell’ecosistema: si devono applicare azioni di tutela e di sviluppo delle popolazioni animali e vegetali tipiche dell’habitat.
A volte queste azioni includono attività di ripopolamento, anche con il supporto dei bioparchi, dei centri faunistici terrestri o marini, dei centri di riabilitazione per addestrare alla vita selvatica gli animali nati in cattività. Spesso è necessario eliminare le cause (inquinamento, pesticidi, barriere artificiali, eccessivo sfruttamento, caccia o pesca, ecc.) che hanno portato alla riduzione delle specie che si desidera reintegrare nell’habitat.
Altre volte è sufficiente emanare la giusta legge, come è accaduto in Italia per i lupi dell’Appennino. Questi, agli inizi degli anni ‘70, erano ridotti a circa un centinaio di esemplari a causa della caccia indiscriminata. Dopo la legge di divieto di caccia del 1971 hanno iniziato a aumentare di numero. Si è lentamente avuta, così, una naturale espansione dei branchi, che sono fondamentali per mantenere l’equilibrio tra le popolazioni di cervi e di altri erbivori selvatici.
Sostenere la Biodiversità
Alla protezione delle specie viventi presenti negli ecosistemi è legato anche il tema della Biodiversità, ossia del mantenimento della diversità esistente tra le specie viventi.
I cambiamenti climatici, l’inquinamento, la frammentazione dei suoli e degli habitat, l’eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali e le specie aliene invasive sono le principali cause della perdita di biodiversità. Anche l’agricoltura è una grave causa di perdita della biodiversità, perché, per produrre molto e ad un prezzo basso, tende ad utilizzare specie vegetali molto produttive, sostituendo quelle più antiche e locali ma meno produttive.
Il rapporto di Legambiente “Biodiversità a rischio 2021” mostra come il 66% di tutta la produzione agricola mondiale avvenga utilizzando solo 200 piante. Lo stesso avviene nell’allevamento intensivo: tra il 2000 e il 2018 i rapporti riferiscono che sono andate perdute quasi 150 razze di bestiame (https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/05/rapporto-Biodiversita-2021.pdf) .
Ci sono quasi 2 milioni di specie viventi conosciute nel mondo e ciascuna di esse svolge un ruolo specifico nell’ecosistema in cui vive: con la sua specializzazione aiuta a mantenere l’equilibrio vitale dell’ecosistema. I predatori svolgono una funzione utilissima in natura, abbattendo gli esemplari deboli, malati, anziani (le prede più facili da catturare). In tal modo attuano la selezione naturale che mantiene sana la popolazione di cui si nutrono, ed evitano che tali specie si moltiplichino eccessivamente.
Per questo motivo la scomparsa di anche una sola specie all’interno di un ecosistema può portare a un’alterazione irreversibile dell’equilibrio ecologico.
Inquinamento e interventi umani come, ad esempio, l’uso di pesticidi in agricoltura, possono provocare danni gravissimi. Si pensi alle api e agli altri insetti impollinatori, come vespe, farfalle, mosche: senza di essi mancherebbe oltre un terzo degli alimenti umani (frutti, vegetali, semi, ecc…). Tutti sanno che questi insetti, passando di fiore in fiore, consentono la fecondazione delle specie vegetali. Eppure in tutto il mondo (eccetto l’Antartide, che è coperta di ghiaccio) si registra una perdita di circa il 40% degli insetti impollinatori, con danni enormi agli ecosistemi e all’economia. Addirittura in molti luoghi si procede con l’impollinazione artificiale fiore per fiore, per rimediare alla scarsità di insetti e mantenere la produzione agricola.
Il rapporto di Legambiente del 2021 avvisa che, secondo la Lista Rossa degli ecosistemi d’Italia, oltre il 16% del nostro suolo è interessato da 29 ecosistemi considerati ad elevato rischio. Si tratta soprattutto di ecosistemi legati agli ambienti umidi, di acqua dolce o salata, alla fascia costiera e ai sistemi di pianura utilizzati per agricoltura e zootecnia intensiva.
Non possiamo restare indifferenti a questa perdita di ricchezza ed è importante sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi.
La lista rossa delle specie minacciate
La perdita di biodiversità delle specie vegetali costituisce un problema per la fauna locale, soprattutto per quelle specie che non riescono ad adattarsi alla nuova alimentazione e quindi diminuiscono di numero, fino a diventare “specie a rischio”, danneggiando anche i predatori della medesima catena alimentare.
Esiste una lista rossa delle specie minacciate, stilata dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), che si occupa di vigilare sulla biodiversità ed è sempre alla ricerca di esperti per monitorare la flora e la fauna in tutti i paesi.
In questa lista appaiono più di 8.400 specie selvatiche, tra piante e animali, in grave pericolo di estinzione, mentre altre 30.000 sono comunque a rischio o vulnerabili.
In Italia è Legambiente che predispone annualmente un “Rapporto sulla biodiversità” che evidenzia lo stato di salute delle specie viventi, i principali fattori di rischio e le strategie da adottare per far fronte alla perdita della diversità biologica.
Incrociamo le dita
Da quanto si è detto si vede quanto sia importante proteggere e recuperare questi Habitat. La giornata del 3 marzo sarebbe proprio l’occasione giusta per lanciare iniziative ed eventi che possano sensibilizzare il pubblico e sollecitare chi ci governa ad emanare nuove leggi e creare nuove iniziative per la protezione degli ecosistemi. Speriamo che nei prossimi anni queste iniziative abbiano la giusta diffusione.