Si può considerare il sapere enciclopedico come cultura? 

Che cosa si intende con sapere enciclopedico?

Il termine “sapere enciclopedico” si riferisce, secondo il politico e filosofo Antonio Gramsci, alla mera conoscenza di nozioni. Tali nozioni, afferma Gramsci, sono per lo più utili a porsi su di un fragile piedistallo, dal quale giudicare l’ignoranza di chi ha scelto di non utilizzare la propria mente come semplice recipiente di dati. L’erroneità di questo comportamento è evidentemente indiscutibile e affonda le radici nell’etimologia stessa della parola “enciclopedia”, dal greco antico “ἐγκύκλιος παιδεία”, ovvero «istruzione circolare, insieme di dottrine che formano un’educazione completa» (diz. Treccani). 

Ma come si può considerare educazione completa un’educazione basata su un sapere prettamente enciclopedico ovvero, l’asfittica conoscenza di dati, eventi, frasi e formule, che spariscono come sabbia nel vento, dopo un test? Si può considerare questa come “cultura”? Assolutamente no.

Di fatti, l’educazione (soprattutto quella scolastica) dovrebbe essere finalizzata alla creazione di competenze per cui il “saper essere” dovrebbe essere strettamente legato al “saper fare” e, quindi, al renderci in grado di applicare le informazioni apprese nella vita reale. Dopotutto, è attraverso la Cultura con la “C” maiuscola (dal tedesco “Kultur”, “insieme di capacità e conoscenze”) che si comprende quale sia il proprio posto nel mondo, quale sia il proprio ruolo nella società. Invece, una mente che non applica le conoscenze può solo vivere in una biblioteca piena di libri, ma vuota di azioni e compiacersi da sola delle nozioni che conosce, non arrivando mai a conoscere profondamente sé stessa. 

Dati a confronto. Quanti sono i laureati occupati in Italia?

Successivamente, Gramsci affronta il tema dei diplomi e delle lauree. Gli studenti strappano “straccetti di laurea” e subito pensano di essere superiori anche ai migliori operai. Ma, guardando in faccia la realtà, il tasso di laureati occupati, in Italia, è molto basso rispetto alla media UE. Sebbene da una recente analisi ISTAT (6 ottobre 2023, https://www.istat.it/it/files//2023/10/Report-livelli-di-istruzione-e-ritorni-occupazionali.pdf) emerga un miglioramento di percentuale in cui il 74,6 % dei laureati, nel bel Paese, lavora, tuttavia quest’ultima è una percentuale ancora bassa se confrontata all’82,4 % di media europea e, nello specifico, al +93% del Lussemburgo. Infatti, sono tante le critiche che vengono mosse al sistema di istruzione italiano. Si critica la radicata arretratezza dei metodi, l’attaccamento compulsivo al voto e la scarsa considerazione delle vere abilità degli alunni. Piuttosto è valutata la loro capacità mnemonica. Succede, quindi, che questa apoteosi della memoria venga esacerbata ancora di più all’università. Ma, conseguita la laurea, si entra nel mondo reale, dove le conoscenze devono diventare competenze. 

I voti scolastici sono diversi dai voti del mondo reale. Perché?

Perché, però, non si è pronti per questo mondo reale? Questa impreparazione deriva da un errore diffuso degli alunni. La rilevanza che si attribuisce al voto rispetto a quella che si dà alle competenze acquisite. Quell’agognato sei in pagella diventa il motivo del grande impegno dietro allo studio. Ma, alla fine, cosa è il “voto”? E’ un numero che varia di grandezza in base a tanti fattori, spesso casuali. Infatti, su un compito, potrebbero capitare domande che riguardano l’unica parte di libro che si è effettivamente studiata, o sfortunatamente domande su quell’unica parte di libro che si è tralasciata. A volte si è baciati dalla sorte, a volte no. Si insinua così tra i banchi la  fatalistica convinzione per cui verrà premiato, con un voto alto, colui che ha studiato poco ma che ha avuto fortuna e penalizzato colui che ha studiato tanto, ma ha avuto sfortuna. 

Tuttavia, si viene lodati per il voto fino a quando ci si trova tra le pareti di una scuola. Al di fuori di queste, è la competenza acquisita che conta davvero

Quindi, riallacciandoci all’interrogativo iniziale “Perché non si è pronti per questo mondo reale?”: perché il mondo reale richiede competenza, impegno. A questo mondo vero, esigente e rigoroso, dai ritmi serrati e sfrenati, non interessa dei decimi di voto “strappati a uno straccetto di laurea”, per citare l’autore, ma conta che si sappiano dimostrare e applicare sul campo le proprie conoscenze

Cos’è la vera cultura e come ci guida al nostro ruolo nella società.

Per questo è importante studiare per conoscere, piuttosto che studiare per memorizzare. Perché un singolo voto negativo non decide che tipo di persona si potrà essere, ma a formarci sono le cose che si apprendono e interiorizzano, non quelle che si memorizzano meccanicamente. Dunque, è davvero colto chi sa come applicare le informazioni acquisite all’interno del complesso recipiente di dati rappresentato dalla mente umana, di cui si è parlato in precedenza. E’ colto chi si immerge nella realtà, non solo con dei bei voti, ma anche con delle buone capacità. E’ colto non chi ha memorizzato un’enciclopedia, ma chi ha sensibilmente e intimamente compreso il significato e l’essenza più vera di una parola, di un’accezione, di un tema, di un concetto. Chi ha scelto consapevolmente un’educazione solida e un patrimonio culturale completi; chi ha unito sia sul piano intellettuale sia sul piano morale le conoscenze alle capacità in quella inesausta e appassionata ricerca del ruolo che realmente ci compete, all’interno della società.  

La cultura è ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.
Antonio Gramsci
 

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Una risposta

  1. 13 Gennaio 2024

    […] ciò, negli ultimi anni, in molti credono che sia in corso una vera e propria distruzione della lingua italiana. Certamente negli ultimi anni la lingua italiana ha accolto una varietà di parole nuove, […]

     

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